Prezzi dei videogiochi troppo bassi: il COO di Capcom ne è sicuro

Scritto da Antonio Pisaniello

Lo sviluppo dei videogiochi sta diventando insostenibile a causa degli alti costi, per questo le singole copie dovrebbero esser vendute ad un prezzo maggiore.

Capcom lancia un monito a l’industria del gaming, e lo fa attraverso le parole del presidente Haruhiro Tsujimoto, intervistato dal gruppo Nikkei.

Secondo Tsujimoto, lo sviluppo dei giochi è 100 volte più costoso rispetto all’era Famicom (la console conosciuta come Nintendo Entertainment System, lanciata dalla casa di Kyoto nel 1983 ed approdata in Europa nel 1986), mentre il prezzo dei software non è aumentato in modo analogo.

Ecco un estratto dell’intervista:

Personalmente ritengo che i prezzi dei giochi siano troppo bassi. I costi di sviluppo sono circa 100 volte più alti rispetto all’era Famicom, ma i prezzi del software non sono aumentati poi di molto. C’è anche bisogno di aumentare i salari. Considerando il fatto che i salari stanno aumentando nell’intero settore, penso che l’aumento dei prezzi unitari sia un’opzione salutare per le imprese”.

Il discorso del direttore operativo di Capcom si riferisce in particolare ai cosiddetti giochi tripla A, ossia quelle produzioni ad alto budget che possono essere paragonate ai blockbuster del cinema.

Un gioco AAA indica una produzione di alto valore (alla quale spesso, ma non sempre, corrisponde un’ottima qualità del prodotto stesso), dove vengono impiegati imponenti mezzi economici in ogni settore: dal numero di persone che lavora al gioco, alle campagne di marketing , passando per le tecnologie impiegate, le fasi di distribuzione ed il supporto post-lancio da dedicare al gioco (tramite il rilascio di patch correttive, espansioni e contenuti sia gratuiti che a pagamento).

Il successo finanziario è ovviamente basilare per un gioco tripla A, destinato per questo al mercato di massa: deve diventare famoso, vendere copie e riuscire a coprire totalmente i costi di produzione, impresa non sempre possibile.

In caso di fallimento, traducibile in un numero insufficiente di copie vendute, a risentirne potrebbe essere l’intera compagnia, che per ovviare potrebbe dover licenziare i dipendenti o addirittura chiudere qualche studio minore.

Oggi ci vogliono anni per dar vita ad un gioco AAA e l’investimento necessario può essere di centinaia di milioni, mentre i prezzi del software oscillano ancora intorno ai 50-70 euro.

In futuro pagheremo forse 100 euro per un singolo gioco?

Il discorso dei Tsujimoto mette sicuramente in luce l’aspetto legato al rischio nella produzione di giochi AAA, dove i mancati guadagni possono costituire un vero e proprio disastro, ma bisogna considerare (soprattutto in riferimento al passato) che oggi molti videogiochi hanno inserito le microtransazioni (riuscendo così a monetizzare in modo diretto ed immediato, spesso proponendo contenuti riconducibili a skin o costumi alternativi, elementi che non richiedono grandi sforzi per essere concepiti), possono essere supportati per anni con il rilascio di espansioni e DLC a pagamento ed inseriti nei piani di abbonamento come il GamePass di Microsoft o il PlayStationPlus di Sony, trovando ulteriori risorse finanziarie che possono determinare il successo della compagnia.

Inoltre, anche l’utenza è cresciuta rispetto a qualche anno fa (basti pensare, ad esempio, al mercato del gaming mobile), rendendo l’industria dei videogiochi una realtà capace di generare un giro d’affari da oltre 2 miliardi di euro annui.